Non c’è confronto in cui non ci venga chiesto quale sia la missione attuale del Popolo della Famiglia: sembra (ripeto, sembra) che la nascita del Governo Meloni abbia decretato la fine del movimentismo nato dalle ultime due grandi piazze “per la vita e per la famiglia”. La frase tipo che ti rifilano come risposta preconfenzionata è sempre la stessa: ci pensa Giorgia. Povero Presidente del Consiglio: una croce così grande e nemmeno un Simone di Cirene? Sì ve lo ricordate, almeno per sbaglio per averne sentito passare il nome in una domenica d’infanzia? Colui che aiutò Gesù a portare la croce durante il cammino prima di salire sul Golgotha.

“Noi non facciamo i politici, i deputati, i leader. Lottiamo, per quel che dobbiamo e per quel che crediamo. E questa è la differenza che prima o poi, speriamo non troppo tardi, si dovrà comprendere” ripeteva Marco Pannella che con questa robusta consapevolezza ha disintegrato l’architettura del diritto di famiglia italiano e dei diritti civili nella seconda metà del Novecento. Pensare che lo stesso leader radicale fu sistematicamente osteggiato dal partito comunista che per primo faceva sue le battaglie che lui lanciava dalla strada e della piazza d’Italia: “ci pensiamo noi” ripetevano i comunisti, niente seggio parlamentare e niente spazi televisivi per questi eversivi radicali. Poi Pannella, con pochi dei suoi, entrò in Parlamento e il PCI non portò all’oblio il Partito Radicale Italiano ma si trasformò gradualmente nel contemporaneo “partito radicale di massa”.

Chi ha vinto dunque? Pannella o Berlinguer? Giacinto per ko. Fu lui il cosiddetto Simone di Cirene che, dopo la fine tragica della stagione della solidarietà nazionale con la morte di Aldo Moro, accompagnò la sinistra a ritrovare un ruolo storico che sembrava ormai perduto. Oggi, con la nascita del primo governo di destra (altro che destra-centro) italiano le tante donne e uomini con cui abbiamo calpestato insieme il Circo Massimo e Piazza San Giovanni per gridare il nostro no alla deriva dei falsi miti di progresso e un sì convinto al diritto universale alla vita hanno deposto gli striscioni, gli scarponcini e gli zainetti. Perché? Perché “ci pensa Giorgia”.

Il vizietto, tutto italico peraltro, di rifugiarsi nella personalizzazione (talvolta estrema) della politica ha solo creato mostri dai danni incalcolabili: solo i movimenti che vivono e si nutrono come comunità costituiti da manipoli di donne e uomini e non le masse indiscriminate sono la “spina dorsale” in grado di reggere quelle rivoluzioni all’insegna del “tornare indietro (sui diritti civili) per andare avanti” che il paese da troppo tempo attende.

Se Giorgia avrà il coraggio di bandire il gender nelle scuole, di riconoscere il diritto universale a nascere in Costituzione e di legiferare a favore delle mamme d’Italia che non vedono ancora confermato il valore pubblico del loro ruolo eroico svolto nella società italiana non sarà di certo per via del crescere esponenziale dei nuovi adepti di partito (magari figlie o figli di “cambi di casacca” che odorano di bieco opportunismo) ma per la forza del nostro pensare ed agire da dissidenti del cosidetto “pensiero unico”. La “benedizione” pidieffina sono dunque gli zero virgola elettorali, i dirigenti e militanti che ci lasciano per saltare sul carro dei vincitori e i limiti organizzativi figli di una militanza spontanea e non ideoligizzata: ciò che per gli altri appare come un fallimento per noi è una vera e propria benedizione.

D’altronde siamo maledettamente cristiani e il paradigma della croce, sconfitta per il mondo e vittoria per i seguaci del Nazareno, ci avvolge ancora oggi: a noi la scelta, viverlo o subirlo.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here