Movimento Sociale Eurasia è, dal 2018, il nuovo “secondo nome” dello storico Movimento Sociale Europeo (European Social Movement, MSE – ESM) fondato nel 1950 da Ernesto De Marsanich (segretario e deputato del Movimento Sociale Italiano) e rifondato nel 2000 da Roberto Bigliardo (vice segretario ed eurodeputato della Fiamma Tricolore). Il MSE è un movimento politico e culturale, militante, apartitico e transnazionale, tradizionalista e patriottico. Il MSE si ispira a Julius Evola ed Ezra Pound, raccoglie l’eredità ideale di Junio Valerio Borghese, Pio Filippani Ronconi, Jean Thiriart, Giovanni Gentile e Jean Marie Le Pen, fondendola con le teorie geopolitiche eurasiatiche e multipolari del filosofo tradizionalista russo ortodosso Aleksandr Dugin.
L’eredità ideologica e filosofica che il Movimento Sociale Eurasia ha raccolto
M.S.E. Movimento Sociale Eurasia, si rifà a quella destra radicale caratterizzata fortemente da un’impronta spirituale e filosofica, influenzata da Gabriele D’Annunzio e che ad oggi non ignora le posteriori riflessioni esistenziali di Erich Fromm in “Avere o Essere”, rifacendosi a sistemi filosofici ed ideali in grado di stimolare evoluzioni interiori significative e consapevoli. Chi sceglie la destra radicale consapevolmente, non lo fa limitandosi ad un semplice progetto politico, ma si distingue per l’ambizione e la lungimiranza di fissare per sé stesso sempre nuove sfide, volte al proprio perfezionamento, attraverso il conseguimento di traguardi di volta in volta superiori, da ottenere ispirandosi ad ideali e modi di essere che elevino dalla propria condizione attuale, in una ricerca che Julius Evola avrebbe definito processo dell’Individuo Assoluto, ovvero una interpretazione di ogni fatto, fenomeno o esperienza in funzione del processo interiore che persegue consapevolmente l’obiettivo della propria realizzazione.
Tale prospettiva, ispira implicitamente una tendenza a qualificare e a quantificare prerogative, pregi e caratteristiche delle persone, respingendo con forza il paradigma “egalitario” tanto caro, abusato, e strumentalizzato politicamente dalle sinistre, ma adottando piuttosto criteri marcatamente meritocratici, ben consapevoli che i talenti e le eccellenze esistono e non meritano di essere mortificati da sistemi di pensiero grossolani e ideologicamente falsi come il “politicamente corretto” o altre impostazioni di pensiero intellettualmente disoneste, che hanno come scopo, unicamente quello di neutralizzare individui scomodi per dei talenti o per delle idee, che altrimenti non si saprebbero mettere a tacere.
La destra radicale, storicamente ha profonde radici tradizionali e spirituali, ma non per questo i suoi valori possono dirsi estranei a persone atee o agnostiche, in quanto si rifanno a principi di portata universale, che mettono al centro essenzialmente la consapevolezza delle finalità della vita, nella loro interezza e complessità.
La destra radicale odierna, riconosce nella Destra Tradizionale, la propria fonte di ispirazione, non di meno, è nota la connotazione fortemente filosofica e spirituale dell’ultima, che tuttavia, non ha mai suggerito o ispirato in alcun modo, l’istituzione di una religione di Stato, ma ha sempre riconosciuto l’importanza e l’inviolabilità della sfera individuale sacra, nonché del ruolo positivo che essa ha all’interno della società, come fattore aggregante e come mezzo per mettere a fuoco le proprie priorità interiori, mettendo in secondo piano i costi e le conseguenze materiali, intese come il prezzo psicologico o materiale derivante dalle conseguenze delle proprie scelte.
La concezione della Destra Tradizionale, di una legge morale e divina, ontologicamente superiore anche all’autorità dello Stato, paradossalmente, non è incompatibile nemmeno con chi fosse non credente, dal momento che la radice di tali convinzioni non poggia su di un mero atto di fede dogmatico, ma bensì su di una forma mentis e su di una gamma di prospettive adottata per osservare le cose, che pongono come obiettivi, traguardi estremamente lucidi e consapevoli, quali la dignità individuale, il rispetto per i propri talenti ed il dovere di metterli a frutto per il bene proprio e della società. Queste scelte che la Destra Tradizionale ispirava, mettevano dunque in risalto l’esistenza di una legge morale, la cui rilevanza gerarchica non può che collocarsi al di sopra della cosiddetta “legge naturale”, come la salute o la stessa sopravvivenza, ovvero una legge definibile divina le cui fondamenta poggiano sul baricentro della dignità e del valore personale e spirituale, attribuiti all’individuo.
Questa impostazione di valori così netta e congruente con il rispetto e sviluppo degli aspetti umani più profondi e significativi, mortifica e svilisce irrimediabilmente il materialismo ed ogni sua corrente affine o collaterale, come l’Illuminismo o il positivismo, mettendone in evidenza per converso i limiti, a tal punto da renderne innegabile la superficialità e l’inadeguatezza di fronte alle necessità dell’essere umano nella sua profonda, complessa, sofisticata e variegata struttura interiore, che non può certo essere liquidata o gestita con sistemi di pensiero così filosoficamente miopi e dall’applicazione tanto lineare.
D’innanzi tali considerazioni, come non pensare al viscido quanto persistente totalitarismo, imposto con il pretesto sanitario negli ultimi due anni, il quale sbandiera come proprio vessillo, proprio la prospettiva materialistica e positivistica figlia dell’arrogante e ottuso Illuminismo, antropocentrico al punto da trasmettere il messaggio che nulla può avere più valore della vita stessa e che d’innanzi al rischio di perderla, nulla ha più valore, ne la dignità, ne i diritti civili o costituzionali, ne la propria libertà, ancor meno le nostre relazioni interpersonali o le nostre aspirazioni, al punto da domandarsi che differenza rimanga tra l’uomo che vogliono plasmare coattivamente attraverso tale rivoluzione culturale anti-valoriale ed un animale da allevamento intensivo.
Questo è il volano ideologico che irradia il progetto politico della Destra Radicale odierna, il quale pertanto non può essere considerato un tentativo di restaurare il regime fascista, ma un rifarsi ad un insieme di valori e di ideali nella loro forma originaria, le cui radici sono ben anteriori al ventennio ed è in tale luce che ci identifichiamo nelle parole di Augusto De Marsanich:
“Non restaurare, non rinnegare”
Proprio questa prospettiva essenzialmente volta al trascendente, di costruire il mondo esterno (dunque la società), avendo come punto di riferimento e baricentro le ragioni più profonde della propria esistenza, la Destra Tradizionale tendeva a trasmettere alle nuove generazioni, i valori del coraggio e dello sprezzo del pericolo, quando in ballo ci fosse stata la difesa di valori ritenuti superiori alla nuda esistenza.
Proprio per questo la Destra Radicale oggi – in tempi di pieno totalitarismo tecno-sanitario – fa tanta paura, dal momento che la sua radicalità non ammette compromessi con la menzogna e soprattutto, tale radicalità è dovuta ad una scelta consapevole, determinata da passaggi estremamente coerenti con la salvaguardia delle sfere interiori umane più significative e determinanti. Non di meno, la Destra Radicale, è estremamente temuta anche perché rappresentando la più naturale, spontanea e genuina reazione dell’uomo consapevole di sé, alla sorda oppressione subita dal materialismo, risulta particolarmente temibile da quelle forze che fanno della prospettiva materialista il baricentro delle proprie proposte politiche e sociali.
In ultima analisi, la Destra Radicale attualmente spaventa l’establishment politico al comando, perché da una risposta talmente netta da essere particolarmente difficile da contestare sensatamente e con successo in un contraddittorio onesto, dove non si tenti di liquidare l’impostazione ideologica e filosofica della Destra Tradizionale con la miserevole stampella di banali etichette, volte a censurare vigliaccamente la discussione a priori, piuttosto che affrontarla.
Sono proprio i recenti e fragili paradigmi bio-securitari, riproposti come dischi rotti nella loro puerile e grottesca ipocrisia, oramai da due anni e su cui viene basato l’intero impianto dell’attuale regime sanitar-totalitario dissimulato, a temere più di ogni cosa lo scontro con un’ideologia priva di ambiguità, diretta, risolta e consapevole come quella della destra radicale.
L’aggressività e le durezza che talvolta caratterizzano il pensiero della Destra Tradizionale, e che dall’esterno possono sembrare eccessive ad occhio profano, sono riconducibili proprio a questa essenza profondamente consapevole di tutto ciò che è la natura umana, a tal punto da non poter accettare, proprio per via della sua genuina consapevolezza, lo svilimento insultante, ottuso e volgare che le tecnocrazie sanitarie tentano di imporre attraverso una meschina, manipolativa e criminale colpevolizzazione del cittadino. La Destra Radicale è in realtà frutto di un processo interiore talmente consapevole, che chi ne abbraccia e comprende l’essenza, non può più reggere l’umiliazione di esser vilipeso da tali volgari e grossolani attentati alla libertà, e questo spaventa gli intellettuali e gli abili oratori o politicanti in malafede, perché l’onestà intellettuale del pensiero di destra radicale, non fa essenzialmente distinzione tra violenza psicologica e fisica, non nascondendosi dunque vigliaccamente dietro la retorica, per nuocere al nemico lanciando il sasso e nascondendo la mano. Questo implica automaticamente un desiderio di giustizia, affinché i tribunali si occupino di chi ha abusato in maniera tanto grave ed in misura così estesa e spregiudicata, ai danni del bene pubblico, per favorire interessi economici che sono risaputi abbondantemente, di esser privati.
Da questa base ideologica e filosofica, fondata su di una dinamica introspettiva solida e coerente, si staglia la consapevolezza che un processo collettivo e sociale, qualsiasi esso sia, per non risultare in una ignobile manipolazione ai danni della popolazione, implica necessariamente, da parte del popolo coinvolto in tale processo, una compartecipazione attiva, che implichi la consapevolezza del fine verso il quale si vuol progredire; non può esistere alcun balzo evolutivo a livello sociale, antropologico o di costume, senza un coinvolgimento aperto, diretto e reale delle parti coinvolte, e per fare questo, al primo posto ci devono essere presupposti tangibili – che siano coerenti e chiaramente percepibili senza ambiguità – con le finalità dell’esistenza umana. Dunque, senza la base di una morale filosofica ed umanistica, dalla quale dispiegare scelte politiche coerenti innanzitutto in tal senso, non può esservi inclusione di una adeguata dimensione psicologica, intellettuale e sociale, rendendo ogni altro tentativo di governo, inadatto, perché disumano, dunque disumanizzante e tossico per la popolazione stessa.
Origine dell’ M.S.I. Movimento Sociale Italiano
Fondato il 12 novembre 1946 come Movimento Italiano di Unità Sociale da Giorgio Almirante, Giorgio Bacchi, Cesco Giulio Baghinoe altri veterani della Repubblica Sociale Italiana. La costituzione ufficiale del partito aveva lo scopo di dare una veste ufficiale ai due rappresentanti, Baghino e Almirante, prima della riunione del 3 dicembre 1946 tra i rappresentanti di diversi gruppi come il Fronte dell’Italiano, il Movimento Italiano di Unità Sociale, il Fronte del Lavoro e il Gruppo reduci indipendenti, giunti lì per coordinare la stipula dell’atto costitutivo di ciò che sarebbe stato il Movimento Sociale Italiano (M.S.I.), che avvenne il 26 dicembre successivo, nello studio del padre di Arturo Michelini, dove erano presenti anche Pino Romualdi, Giorgio Almirante, Biagio Pace; in tale occasione avvenne anche avvenne la nomina della giunta esecutiva, formata da Giacinto Trevisonno, Raffaele Di Lauro, Alfonso Mario Cassiano, Giovanni Tonelli e Carlo Guidoboni.
Dopo il 1972, il movimento modifica la nomenclatura in Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale (MSI-DN), mantenendo posizioni affini alla destra radicale di stampo conservatore, tanto da esser già fucina di posizioni scettiche verso la bontà della globalizzazione e del libero mercato, dimostrata apertamente anche e non solo in occasione dell’adesione dell’Italia al trattato di Maastricht e delle privatizzazioni di Amato, dimostrandosi forse l’unico movimento politico in grado di vederci così lungo in tema della pericolosità sociale potenziale, che avrebbero potuto sviluppare e scatenare le grandi corporation, come stiamo attualmente vedendo e sperimentando.
Dal 1947, il Movimento Sociale ha come simbolo la fiamma tricolore, spesso identificata in quella che arde sulla tomba di Mussolini, tuttavia non va interpretata come un desiderio anacronistico di riportare in auge il regime fascista, ma come omaggio alla passione e a determinati aspetti del ventennio, ben riassunto dal «Non rinnegare, non restaurare» coniata da Augusto De Marsanich, segretario dal 1950 al 1954 e presidente dal 1954 al 1972.
La dizione “Destra Nazionale” risale all’unione con il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica del 1972.
Il partito, di cui Giorgio Almirante fu così il successivo segretario, ricevette inizialmente l’appoggio del generale Rodolfo Graziani, ed ebbe il suo battesimo elettorale nel settembre 1947, alle comunali di Roma, quando il MSI riuscì a eleggere tre consiglieri comunali e da lì a poco aderì al MSI il primo parlamentare nella Costituente: nel febbraio 1948 fu accettata l’adesione del palermitano Guido Russo Perez. Furono le elezioni politiche dell’aprile 1948, che fu il primo vero test nazionale, quando ottenne il 2,01 % dei voti alla Camera dei deputati, eleggendo sei deputati: lo stesso Almirante, Roberto Mieville, Arturo Michelini, Giovanni Roberti, Guido Russo Perez e Luigi Filosa; e lo 0,89 % al Senato della Repubblica. Subito dopo il voto aderì al MSI il senatore Enea Franza, eletto nelle liste di una lista civica, “Democrazia del Lavoro”.
Il primo congresso del partito si svolse a Napoli tra il 27 e il 29 giugno 1948 e il comitato centrale approvò tre relazioni, di cui una particolarmente emblematica se messa in relazione con il quadro politico attuale, tale relazione era quella sulla Politica Estera, che si esprimeva con un rifiuto nei confronti del Trattato di Parigi, che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), firmato a Parigi da Belgio, Francia, Italia, Repubblica Federale Tedesca, Lussemburgo e Paesi Bassi, per una durata di 50 anni.
Nel 1950 fu eletto nuovo segretario Augusto De Marsanich sostenitore della linea cattolica e favorevole all’accordo con i monarchici.
Nelle elezioni amministrative del 1951 e poi del 1952 vi fu l’apparentamento col Partito Nazionale Monarchico e l’alleanza ottenne un buon successo, conquistando in particolare molte città del sud Italia.
Dopo le politiche del 1953, al IV Congresso del partito tenutosi a Viareggio nel gennaio del 1954, divenne segretario del MSI Arturo Michelini. Michelini rappresentava la corrente moderata e filoborghese, in politica estera era filo-atlantico e proprio durante la segreteria di Michelini il movimento accettò l’Alleanza Atlantica, contrapponendosi alla corrente micheliniana quella di coloro che avevano partecipato alla guerra dalla parte della Repubblica Sociale, tendenzialmente antiborghese e anticapitalista sul piano sociale ed economico nonché anti-atlantista su quello politico; a guidare questa corrente era Giorgio Almirante. A seguito dell’elezione di Michelini la componente spiritualista ed evoliana di Pino Rauti, Sergio Baldassini e Clemente Graziani, per marcare la lontananza politica dal neosegretario, si riunì nella corrente di Ordine Nuovo, che però rimase inizialmente come realtà all’interno dell’MSI.
In occasione del V congresso, tenutosi nel 1956 a Milano, dove Michelini veniva confermato segretario, ci fu la scissione dal partito di un gruppo di dirigenti guidati da Pino Rauti, con la trasformazione della propria corrente nel Centro Studi Ordine Nuovo, uscendo dal MSI.
Dal 1956 il MSI siciliano entrò nell’area di maggioranza e di governo, dapprima dall’esterno con la giunta di Giuseppe La Loggia (DC) e poi, dal 1958, partecipando alla prima fase del milazzismo, stagione politica iniziatasi quando il democristiano Silvio Milazzo fu eletto presidente della Regione Siciliana dai partiti di destra e di sinistra. Nel primo governo Milazzo entrarono anche esponenti missini e il MSI governò insieme al PSI e al PCI, con l’assenso di Michelini e Togliatti, fino alle elezioni regionali del giugno 1959. Nelle successive giunte Milazzo, conclusesi nel 1960, l’MSI tornò all’opposizione, insieme alla DC.
Degna di nota, l’ennesima vicinanza politica agli interessi italiani da parte dell’MSI Micheliniano, che fu vicino ad Enrico Mattei e alle politiche della sua ENI tanto da essere da esso sostenuto e da difenderlo contro la stampa più atlantista.
Dopo la morte di Michelini si tornò alla segreteria di Almirante, ed il fattore decisivo affinché ciò avvenisse, fu per via del fatto che, pur essendo all’interno della nuova corrente maggioritaria e moderata di Michelini, non aveva mai rinunciato a essere il punto di riferimento della base più movimentista e antisistema, di fatti, a seguito della sua elezione alla segreteria rientrarono nel partito parte dei dissidenti del Centro Studi Ordine Nuovo guidati da Pino Rauti. Almirante, dopo gli anni di immobilismo di Michelini, operò immediatamente un riassetto organizzativo e ideologico del partito e grazie alle sue grandi capacità oratorie e politiche, seppe costituire un compatto ed affiatato partito anti-sistema.
Nel febbraio del 1972 Almirante riuscì a formare un’alleanza con il Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica, una delle maggiori formazioni monarchiche italiane, da cui derivò anche un mutamento di denominazione del partito, da quel momento chiamato Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale.
Il 10 luglio 1972 il Consiglio Nazionale del PDIUM deliberò lo scioglimento del partito e la confluenza nel Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, con una piccola parte del partito, più legata all’ispirazione liberale e risorgimentale, che rifiutò di entrare del MSI-DN e dette vita ad Alleanza Monarchica.
Il congresso del gennaio 1973 introdusse ufficialmente il nuovo nome nello statuto del partito, eleggendo segretario Giorgio Almirante, presidenti l’ex monarchico Alfredo Covelli e l’ammiraglio Gino Birindelli, presidente del Consiglio nazionale l’ex monarchico Achille Lauro.
Nel gennaio 1975, come evoluzione della Destra Nazionale, fu creata da Almirante la “Costituente di destra per la libertà”, a cui aderirono in funzione anticomunista anche personalità antifasciste: l’ex deputato DC Enzo Giacchero, che era stato comandante partigiano, ne fu il presidente, l’ex parlamentare DC Agostino Greggi, che ne fu il segretario, e il generale Giulio Cesare Graziani. Ripetendo la strategia delle elezioni politiche del 1972, dove fu eletto l’ammiraglio Gino Birindelli (medaglia d’oro al V.M.), il MSI-DN fece ripetute e franche aperture all’elettorato militare, col quale effettivamente si stabilì una vicinanza: alcuni esponenti delle forze armate furono candidati nelle sue file, come Vito Miceli (che fu poi eletto).
Le elezioni del 1976 però registrarono un calo rispetto al successo del 1972 e pochi mesi dopo vi fu una scissione nei gruppi parlamentari: gli esponenti della corrente moderata Democrazia Nazionale uscirono dai gruppi MSI-DN e ne formarono dei propri, intendendo così collocarsi dentro l’arco costituzionale; a questi gruppi aderì la maggioranza dei parlamentari.
L’MSI si avviava così all’XI congresso del gennaio 1977 diviso in quattro correnti: quella maggioritaria detta Unità nella chiarezza di Almirante e Romualdi, quella detta Destra popolare di Massimo Anderson e del mondo giovanile, quella detta Democrazia Nazionale di Ernesto De Marzio e Gastone Nencioni e infine quella detta Linea Futura di Pino Rauti. Democrazia Nazionale tuttavia uscì dal MSI prima dell’assise per trasformarsi il 20 gennaio 1977 in un nuovo partito. Almirante riuscì a far cambiare lo statuto del partito: da questo momento il segretario nazionale sarebbe stato eletto direttamente dal congresso, e non come precedentemente avveniva da parte dal comitato centrale o dalla direzione nazionale. Unità nella chiarezza fu la più votata, seguita da Linea Futura e Destra Popolare: Almirante fu confermato segretario. Pochi mesi dopo Massimo Anderson e alcuni esponenti di Destra popolare uscirono dal partito per aderire a DN.
Nel 1978 il MSI-DN, ancora dimezzato nei gruppi parlamentari, fu promotore dell’Eurodestra, un accordo con altri movimenti di estrema destra europei come il francese Parti des Forces Nouvelles di Jean-Louis Tixier-Vignancour, lo spagnolo Fuerza Nueva di Blas Piñar e il greco Unione Politica Nazionale. Alle elezioni europee del 1979, tuttavia, solo il MSI-DN riuscì a ottenere degli eletti, quattro, che finirono nel Gruppo dei non iscritti.
Da un punto di vista tematico, il partito insisté sulla «crisi del sistema», ovvero sull’inadeguatezza della struttura istituzionale del paese ai suoi reali bisogni, testimoniata d’altra parte dall’enorme instabilità politica di cui a molti anni dalla nascita continuava a soffrire. Fu proposta anche una forma di governo alternativo basata sul modello della repubblica presidenziale.
In seguito alle elezioni europee del 1984 il MSI-DN ottiene il 6,47% e 5 europarlamentari che, insieme con gli eurodeputati del Front National, formano il Gruppo delle Destre Europee al Parlamento europeo.
Nel 1987 le condizioni di salute obbligarono Almirante ad abbandonare la segreteria del partito, indicando come proprio delfino Gianfranco Fini, già segretario del Fronte della Gioventù. Al XV congresso tenutosi a Sorrento quattro candidati si contesero la carica di segretario:
Il 24 gennaio 1988 Almirante venne eletto presidente del partito dalla maggioranza del comitato centrale. Il 21 maggio 1988 scomparve Pino Romualdi e il giorno seguente morì Giorgio Almirante. Per loro si svolsero esequie comuni a Roma, in Piazza Navona, mentre alla camera ardente arrivarono anche i comunisti Nilde Iotti (allora Presidente della Camera) e Giancarlo Pajetta (storico leader del PCI).
Al congresso del 1990 Rauti, alleatosi con Mennitti, Lo Porto, Pazzaglia e Pisanò, riuscì a essere eletto segretario del partito al posto di Fini ma, dopo la sconfitta alle elezioni amministrative e alle regionali in Sicilia del 1991, dalle quali il MSI uscì praticamente dimezzato, Rauti si dimise e il comitato centrale rielesse segretario Gianfranco Fini, che prevalse sul rautiano Domenico Mennitti.
I primi anni 1990 furono critici per il partito, ormai in piena crisi di identità e a rischio di scomparsa dopo il referendum sul sistema elettorale e la conseguente approvazione della legge elettorale maggioritaria del 1993. L’opera di propaganda del partito in questo periodo, alquanto discontinua, era caratterizzata sia da un richiamo al passato fascista, testimoniato dal proposito, espresso da Fini nel 1991, di attuare il fascismo del 2000, o dall’elezione in parlamento di Alessandra Mussolini nel 1992, o ancora dalla commemorazione del settantesimo anniversario della marcia su Roma sempre nello stesso anno; sia, d’altra parte, cavalcando nuovamente la protesta anti-sistema, ad esempio attraverso l’incondizionato sostegno espresso dall’MSI-DN all’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, ritenuto uno dei suoi primi “sdoganatori”.
Allo scoppio di Tangentopoli il MSI-DN condusse un’energica campagna contro il pentapartito e i cosiddetti «ladri di regime», dichiarando aperto appoggio ai giudici di Mani pulite e presentandosi con lo slogan «Ogni voto una picconata» alla campagna elettorale del 1992. Il MSI lombardo presentò una mozione al consiglio regionale della Lombardia in favore del giudice Antonio Di Pietro e dei suoi colleghi impegnati nelle indagini sulle tangenti.
Il 27 aprile 1993, un articolo sul Secolo d’Italia firmato da Francesco Storace, allora portavoce del segretario del MSI Gianfranco Fini, rilancia l’idea di una nuova Alleanza Nazionale che associasse i missini con altri personaggi o schieramenti di idee conservatrici, come la destra democristiana.
Dal 24 aprile 1993 la costruzione di Alleanza Nazionale sembrava avviata dal MSI. Anche se l’idea nell’immediato venne bocciata, già a Belluno in giugno si tenne un primo test elettorale e se ne sarebbe discusso per tutta l’estate del 1993.
In questa fase Fini presentò AN come «una strategia. Non è un partito nuovo, ma è una politica: chiamare a raccolta tutte quelle categorie, quei ceti economici, quegli spazi della società che oggi sono liberi perché non hanno più dei referenti». La speranza del segretario missino è «che già dalle prossime elezioni del 21 novembre» la strategia di AN «saprà evidenziare, con percentuali a due cifre, un polo nazionale di centro destra, che sarà la vera novità del panorama politico italiano». Lo stesso Fini decise di candidarsi a sindaco di Roma: «Presentiamo liste aperte, cioè non solo missine, in molte città, da Cosenza a Pescara a Palermo. Siamo una forza superiore al 10% nel Centro Sud. Se i dati ci daranno ragione si potrà così arrivare a edificare un quarto polo nazionale (dopo quelli di sinistra, centro e Lega Nord)».
Il MSI-DN riscosse un ottimo successo alle elezioni amministrative del novembre 1993: a Chieti, Benevento, Latina e Caltanissetta i suoi candidati vennero eletti sindaci. Il successo fu rimarcato soprattutto a Roma e a Napoli. Nella capitale il segretario Gianfranco Fini ottiene il 35,5 % e a Napoli Alessandra Mussolini il 31,1 %: entrambi arrivarono al ballottaggio. Il 23 novembre 1993 a Casalecchio di Reno l’imprenditore Silvio Berlusconi, inaugurando un supermercato, alla domanda di un giornalista per chi avrebbe votato a Roma, a sorpresa rispose: «Certamente Gianfranco Fini». Al ballottaggio romano, forse anche grazie alla frase di Berlusconi, Fini raggiunse il 47%.
Il 26 novembre venne presentato ufficialmente il progetto di AN e nacquero i primi circoli sul territorio, ma solo l’11 dicembre successivo il Comitato Centrale del partito approvò definitivamente la nascita del nuovo Movimento Sociale Italiano – Alleanza Nazionale, con l’astensione di dieci dirigenti rautiani.
Alle elezioni politiche del 1994 AN si presentò come alleato di Forza Italia al Sud (all’interno della coalizione detta Polo del Buon Governo) e non coalizzato al Nord, dove però riuscì a fare suo il collegio maggioritario di Bolzano. Il partito raggiunse il suo massimo storico e suoi esponenti, per la prima volta nella storia della Repubblica, entrarono a far parte del governo: ministri furono Giuseppe Tatarella come Vicepresidente del Consiglio e ministro delle Telecomunicazioni, Altero Matteoli all’ambiente e Adriana Poli Bortone all’agricoltura; altri due ministri, Domenico Fisichella alla cultura, e Publio Fiori ai trasporti, pur eletti con la lista di MSI-AN, non provenivano dalla storia missina. Il governo rimase in carica fino al 17 gennaio 1995.
Il 27 gennaio 1995 alle 16,30, il congresso nazionale, preso atto che AN si identificava in massima parte con la storica classe dirigente della Destra italiana, sciolse il MSI-DN per lasciare definitivamente spazio alla sola Alleanza Nazionale. Fu il congresso che sarebbe passato alla storia come «svolta di Fiuggi», per via della città che ospitava l’ultima assise missina. Da allora il Movimento Sociale Italiano M.S.I. è stato sciolto e attualmente ne è rimasto consultabile il sito web commemorativo.
Rauti, da sempre animatore dell’ala sociale, insieme con alcuni esponenti del partito come Giorgio Pisanò e Tommaso Staiti di Cuddia, non accettò questo cambiamento, interpretato come un «disconoscimento» del proprio passato. Il 3 marzo 1995 fondò il Movimento Sociale Fiamma Tricolore, rivelatasi negli anni successivi una presenza relativamente stabile all’interno del panorama politico.
Movimento Sociale Eurasia è, dal 2018, il nuovo “secondo nome” dello storico Movimento Sociale Europeo (European Social Movement, MSE – ESM) fondato nel 1950 da Ernesto De Marsanich (segretario e deputato del Movimento Sociale Italiano) e rifondato nel 2000 da Roberto Bigliardo (vice segretario ed eurodeputato della Fiamma Tricolore). Il MSE è un movimento politico e culturale, militante, apartitico e transnazionale, tradizionalista e patriottico. Il MSE si ispira a Julius Evola ed Ezra Pound, raccoglie l’eredità ideale di Junio Valerio Borghese, Pio Filippani Ronconi, Jean Thiriart e Jean Marie Le Pen, fondendola con le teorie geopolitiche eurasiatiche e multipolari del filosofo tradizionalista russo ortodosso Aleksandr Dugin.