Sullo sfondo del conflitto tra Russia e Ucraina, si sta consumando un’altra battaglia di natura economica. In ballo c’è l’egemonia americana nel mondo attraverso la moneta di riferimento, il Dollaro. L’egemonia dei biglietti verdi è da far risalire agli anni venti del secolo scorso, quando i dollari inondarono l’economia europea per finanziare i debiti di guerra e la ricostruzione del Vecchio Continente. Gli accordi di Bretton Woods e il Piano Marshall del secondo dopoguerra hanno fatto il resto. Da allora il Dollaro è diventato la valuta di riserva di riferimento internazionale. Che cosa significa? Dal 1944 la quasi totalità dei paesi al mondo si è impegnata ad accettare il dollaro come moneta per le transazioni internazionali, come lo scambio di petrolio. Per questo motivo gli Stati hanno accumulato grandi riserve della moneta americana. Da diversi anni si sta però diffondendo la tendenza opposta le l’ultimo episodio in ordine di tempo arriva dall’Egitto. Il paese nord africano potrebbe infatti uscire in tempi piuttosto rapidi dalla sfera di influenza americana. E ad annunciarlo è stato il nuovo governatore della banca centrale del Paese. Faremo un indice per la Lira Egiziana attraverso un gruppo di altre valute, oltre all’oro, per cambiare la cultura che ci vorrebbe legati al Dollaro. Queste le parole di Hassan Abdallah, divenuto numero uno della Banca Centrale Egiziana nel mese di agosto. Si tratta di un cambio di passo rispetto alla precedente gestione, fortemente ancorata alla conservazione degli equilibri economici internazionali. Per diversi anni, infatti, la Lira Egiziana era stata mantenuta stabile rispetto al dollaro. Un’operazione che aveva richiesto un sacrificio piuttosto consistente alla popolazione, costretta a convivere con una moneta super valutata e tassi di interesse molto elevati.

La Banca Centrale Egiziana ha così deciso di interrompere la politica di ancoraggio al Dollaro che portava avanti da moltissimo tempo. Una politica che negli ultimi mesi è costata moltissimo in termini di interventi a supporto della valuta domestica. Questo perché il Dollaro è stato molto forte e i tassi di interesse sulla valuta americana troppo alti, pertanto al posto del Dollaro hanno deciso di adottare un paniere di valute all’interno del quale hanno anche inserito l’oro.

La nomina del nuovo governatore potrebbe segnare quindi la precisa volontà politica dell’Egitto di uscire dalla sfera di influenza americana. Tra gli alti piani della politica del Cairo c’è infatti la consapevolezza che l’economia nazionale potrebbe essere meglio supportata da una moneta di riferimento più flessibile, tenuto conto che i principali partner commerciali dell’Egitto sono ormai Cina e Arabia Saudita. Senza contare i solidi rapporti diplomatici ed economici che esistono tra Mosca e Il Cairo. I legami commerciali tra i due Paesi valgono oltre 6 miliardi di dollari, che comprendono anche la costruzione della prima centrale nucleare egiziana, finanziata all’85% dalla Russia. Quello che sta succedendo in Egitto è però solo uno dei tanti segnali di una diffusa volontà di fuggire il prima possibile dal Dollaro. Nell’ultima riunione dell’alleanza B.R.I.C.S. , che comprende Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, è stata messa sul piatto l’ipotesi di creare una nuova valuta di riserva di riferimento, basata sul paniere valutario dei cinque Paesi. Allo stesso tempo, segnali molto simili sono arrivati da un insospettabile alleato degli Stati Uniti, l’Arabia Saudita. Il Wall Street Journal aveva infatti dato conto della volontà di Riad di voler utilizzare lo Yuan cinese per il commercio di petrolio con Pechino. E non è un caso che allo stato attuale i rapporti tra Arabia Saudita e Stati Uniti siano ai minimi storici. L’ultimo taglio alla produzione del petrolio voluto da Riad rappresenta infatti un deliberato atto di disobbedienza rispetto ai desiderata di Washington. L’imminente processo di depolarizzazione del mondo sarà equivalente ad una nuova rivoluzione copernicana dell’economia. In questo caso saranno gli Stati Uniti a dover prendere coscienza di non essere il centro dell’universo.

Si prende atto del fatto che il Paese ha ormai sviluppato rapporti strategici con tutta l’area del Golfo e con la Cina, due aree geografiche che effettivamente hanno intrapreso il percorso della depolarizzazione da molto tempo. Allo stesso tempo si prende atto del fatto che un cambio forte non è di per sé un cambio buono, perché non è un cambio che denota un’economia forte. Il cambio deve essere adeguato agli obiettivi di politica economica che un Paese vuole conseguire. E quindi qualche volta un cambio più debole è da considerarsi migliore, perché consente la miglior allocazione delle risorse e maggiori esportazioni e quindi, in generale, consente di conseguire il benessere della popolazione.

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