Il nostro futuro su questo pianeta, esposto com’è al rischio dell’annientamento nucleare, dipende da un solo fattore: l’umanità deve attuare un rivolgimento morale. Nell’attuale momento storico ci deve essere una mobilitazione generale di tutti gli uomini e donne di buona volontà. L’umanità è chiamata a fare un ulteriore passo in avanti, un passo verso la civiltà e la saggezza” ebbe a dire San Giovanni Paolo II incontrando scienziati e rappresentanti dell’Università dell’Onu a Hiroshima il 25 febbraio 1981. Sono parole cariche di verità e attualità che inducono un cristiano impegnato nella vita pubblica a non potersi rassegnare a rintracciare l’unica via per la pace nel continuo invio di armi e soldi ad una parte in causa nel conflitto. La lezione dei grandi movimenti di liberazione nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, segnata da un dissenso animato da una testimonianza non “sporcata” dalla misura con cui il mondo occidentale oggi valuta tutto (il dio danaro e il dio guerra), non è più fonte di ispirazione e dominano narrazioni ideologiche che vedono nel solo uso della forza la prerogativa per la capitolazione del nemico. Tutto questo avviene senza nemmeno rendersi conto che questo potrebbe comportare la capitolazione stessa dell’umanità con il rischio di una guerra nucleare sempre più alle porte.


Reagan e Gorbaciov concordarono che “una guerra nucleare non poteva essere vinta e pertanto non doveva mai essere combattuta”: la forza di questo pensiero diede gambe e braccia alla spinta finale per la definitiva caduta della “cortina di ferro” e il crollo dell’URSS. Purtroppo quelle giornate di festa che videro superare le ferite della guerra fredda non furono capaci di comprendere che il cancro della guerra come strumento di morte per l’intera umanità non era stato definitivamente estirpato: il disarmo nucleare non era stato raggiunto.


“Non passate dalla schiavitù del regime comunista a quella del consumismo… il consumismo è un’ altra forma di materialismo che, anche senza rigettare Dio a parole, lo nega nei fatti, escludendolo dalla vita” ebbe a dire sempre San Giovanni Paolo II ai giovani ucraini (non a caso, direi) il 27 giugno 2001. La libertà conquistata dopo le macerie del dominio sovietico non può trovare la sua compiuta realizzione nell’abbracciare una nuova ideologia come quella consumista-gloabalista propinata dal decadente mondo occidentale: serve l’incontro con una libertà che sia l’esaltazione dell’umano e non la sua schiavitù ad un qualsiasi potere mondano.


I concerti dei Plastic People, infatti, sono censurati e vietati al pubblico, costringendo la band ad organizzare concerti clandestini. La loro musica è un chiaro atto di dissenso contro il regime. Per questo nel 1976, fu avviato un processo politico contro la band. Havel prende a cuore il destino di questi ragazzi che hanno deciso di vivere nella verità e attira l’attenzione dell’opinione pubblica occidentale sulla vicenda. Nello stesso frangente Havel fonda il movimento dissidente cecoslovacco Charta 77, la prima opposizione organizzata che minerà le basi del regime. Seguì una petizione e un’azione culturale collettiva che porterà alla scarcerazione dei componenti della band. La vicenda dei Plastic People risvegliò le coscienze, perché la musica per tutti era simbolo della libertà dell’uomo e perché nessun regime poteva mettere a tacere la voce dell’Essere (cit. “Sulla dissidenza e la responsabilità. A proposito di Vàclav Havel per Il Pensiero Storico – Rivista internazionale di storia delle idee). Questo spirito, questo modo di agire può essere l’unica proposta che i cristiani impegnati nella vita pubblica possono essere chiamati a promuovere come cifra del loro impegno per la pace al di fuori di una drammatica guerra civile tra due governi autarchici come quello ucraino e russo: l’unico sostegno di un Occidente consapevole delle proprie radici greco-romane-giudaico-cristiane non può che essere ad un pensiero e un’azione dissidente animata da parole e testimonianza e non armi e soldi.


Per questo preghiamo in questa domenica di sofferenza per le comunità martoriate dal conflitto, per tutti coloro che sono colpiti dal dramma del fuoco delle bombe e chiediamo a gran voce ai capi delle nazioni più potenti al mondo di essere capaci di riabbracciare la dottrina del disarmo nucleare e rilanciare il grido di San Giovanni Paolo II durante la seconda guerra in Iraq: mai più guerra.

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