L’uomo che trasbordò il PCI da Stalin a Rockefeller – Via Congresso Ebraico – di Maurizio Blondet

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Caduto il Muro, davanti al PCI si apriva l’abisso. Rischiava sparire e diventare impresentabile anche il partito comunista più grosso dell’Occidente, con tutta la sua rete di solidi interessi. Come gli fu restituita la verginità agli occhi dell’Occidente? Un mio articoletto di allora:

Ricordo ancora con ammirato stupore la disinvolta velocità con cui Occhetto, capo dell’allora più grosso partito comunista d’Occidente, che viveva di pagamenti da Mosca, si recò in visita dal miliardario ‘canadese’ Edgar Bronfman capo del Congresso Ebraico mondiale, per fare sdoganare sé e il PCI presso i poteri del capitalismo globale. Bronfman, che oltre che padrone della Seagram (Whisky) era anche insignito dal regime della Germania Est della massima onorificenza comunista, la Stella dell’amicizia dei Popoli, aveva già reso lo stesso servizio a Gorbaciov;.

Edgard Bronfman fece avere all’URSS di Gorbaciov lo status di “nazione più favorita” ossia dazi di favore dagli Usa, nonché l’abilitazione dei media occidentali come progressista e liberal non più comunista, in cambio della libera emigrazione di milioni di ebrei sovietici in Israele: la forte colonia russa nello Stato sionista risale a quell’affare.

Poche ore dopo l’incontro col miliardario ebreo – maggio 1989 – Occhetto fu fatto incontrare (cito da Repubblica) “con David Rockefeller”, fu intervistato dai “ due maggiori quotidiani Usa: il Washingon Post e il New York Times”, rese omaggio “al cimitero di Harlington, dove riposano i fratelli Kennedy, e al monumento ai caduti del Vietnam”, e poi fu impegnato in “una fitta serie di colloqui con esponenti del Congresso” Usa. Tenne anche “conferenze pubbliche al Carnegie Endowment for Peace di Washington, e al Council on Foreign Relations”.

Penso sia inutile precisare che in quel fruttuoso viaggio, Occhetto fu accompagnato da un solo altro esponente del comunismo: Giorgio Napolitano. Ne uscì, lui e il partito, candeggiato e legittimato a prendere il potere in Italia al posto della DC: ovviamente dopo libere elezioni. Aiutato, è vero, dalla valorosa magistratura che, con geometrica sincronicità, gli spazzò via i partiti potenzialmente concorrenti, la DC di Andreotti e Forlani e il Psi di Craxi con la leggendaria operazione “Mani Pulite”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/05/16/la-missione-di-occhetto.html

Fu il più acrobatico e ammirevole salto sul carro del vincitore cui abbia assistito nella mia vita. Abbandonata la classe operaia alla grandine della globalizzazione e alla concorrenza dei salari cinesi messicani, romeni – la deindustrializzazione, il massacro salariale del ‘proletariato’ – , il PCI si dedicò a difendere “minoranze oppresse” più comode: i finocchi, e i parassiti pubblici, anzitutto, ossia le lucrose cariche di sottogoverno che occupò totalmente..

Ma il punto veramente stupefacente fu il nuovo atteggiamento dei dirigenti e della “cultura di sinistra” al completo: il comunismo e la sua storia di sangue e di gloria, non li riguardava più. I suoi delitti, i milioni di morti – crimini che i dirigenti PCI e i suoi intellettuali organici avevano giustificato, anzi rivendicato come necessari passi della “dittatura del proletariato” nell’avanzata verso la “società senza classi” in mezzo secolo di dibattiti e scontri dialettici (e fisici) con noi anticomunisti – non avevano più niente a che fare con loro.

Per anni ed anni, essere comunisti o compagni di strada, è stato di moda. Era “attuale” e moderno, faceva stile essere rosso.

Da allora, a nessuno di essi è mai capitato di usare il linguaggio marxiano: ed è gente che per anni ha frequentato la “scuola di formazione politica alle Frattocchie”, dove di quel linguaggio, e di quella filosofia si veniva imbevuti. Erano diventati un foglio bianco.

A me è capitato di citare Marx, di difendere la sua critica al capitalismo globale (una pars destruens veramente profetica); a loro, mai. D’Alema bombardava l’antico compagno Milosevic con la NATO, e si comprava lo yacht da regate da un paio di miliardi di lire, come se mai avesse letto la sardonica frase di Karl sul “modo di esistenza che crea la coscienza” (traduco: chi vive da ricco, pensa e giudica da ricco e difende il sistema sociale anche più ingiusto, perché lo sente naturale e meritevole). E Walter Veltroni? “Mai stato comunista”, disse. Ed era iscritto al Pci dall’età di 14 anni. Credeva d’essersi iscritto ad una bocciofila.

Per anni ed anni, essere comunisti o compagni di strada, è stato di moda. Era “attuale” e moderno, faceva stile essere rosso. Era “la tendenza del momento” per cui si veniva invitati nelle tv, a scrivere opinioni sui grandi giornali, nei salotti buoni, negli ambienti che contano, e nelle direzioni mediatiche potenti.

S’intende che sono rimasti di moda, adottando le mode sociali della sinistra “attuale”: non più quella totalitaria (su cui avevano giurato, e che volevano imporre al Paese), ma quella libertaria. Radical-chic. Sessantottina. Edonista. Paolo Mieli, allora direttore del Corriere, indicò la strada:con articoli che proclamavano “il ritorno al Privato”. Prima, era stato di moda il contrario: “Il Privato è politico”, “Tutto è politica”, la ”rivoluzione sociale, il collettivismo” richiedevano il sacrificio di ogni intimità. Adesso, contrordine compagni: tornate al privato. Agli amori, agli ed alle amanti dei vari sessi, alle regate, alle cene sulle terrazze romane immortalate da Ettore Scola, alle vacanze intelligenti fra “noi che siamo à la page”. I Vip Non aspettavano altro, gli intellettuali ..

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