Ricordo con viva commozione quel 19 aprile dell’anno 2005 quando l’allora Card. Ratzinger salì al soglio di San Pietro con il nome di Bendetto XVI: corsi, con la fretta di chi sa che la storia si sta compiendo, dalla biblioteca della Facoltà di Giurisprudenza di Ferrara dove stavo preparando l’esame di diritto bancario verso la Chiesa di Santa Chiara per pregare con i miei amici universitari per questa notizia tanto attesa. Sì, sin dalla Santa Messa per le esequie di San Giovanni Paolo II ero convinto nel cuore che la nostra comunità cattolica avesse il grande bisogno di una guida illuminata e capace di leggere i segni dei tempi come quella del porporato tedesco: così pregai ogni giorno lo Spirito Santo affinché ascoltasse questo grido dell’ultimo dei suoi ragazzi sulla terra.
Il mio legame spirituale con Benedetto XVI non nacque in quei giorni scolpiti nella storia ma un anno prima quando un amico d’infanzia mi consigliò di leggere il libro “Senza Radici”, scritto a quattro mani con l’allora Presidente del Senato Marcello Pera: in quel testo trovai tutte le più profonde motivazioni della mia scelta di lasciare la militanza politica a sinistra che aveva contraddistinto i miei primi anni di impegno civile (dai 14 ai 19 anni) e per cui, dopo l’incontro con Don Luigi Giussani, decisi che “non poteva esserci politica nella mia vita senza che la parola di Dio non ne fosse la ragione ultima”.
Dalla lettura di quel prezioso “volumetto”, che ancora conservo nella libreria del mio studio privato, cominciò un lungo cammino formativo su tutte le opere scritte da Joseph Ratzinger attraverso le quali si plasmò, passo dopo passo, la mia coscienza di giovane laico impegnato in politica. In particolare rimase scolpito nella mia anima e nella mia mente il discorso che Benedetto XVI tenne a Cagliari il 7 settembre 2008 durante la sua visita pastorale a Cagliari in cui ebbe ad esortare la Chiesa e i cattolici a tornare ad “essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell’economia, della politica” che – ha sottolineato – “necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile”.
Quelle parole sono vive e vibranti nella mia carne ogni giorno e ridefiniscono quotidianamente la vocazione con cui Dio mi prese a quattordici anni e mi chiese di servire il Suo progetto per la mia vita attraverso l’impegno nella politica, quella che grazie alla lettera enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate” compresi come “alta ed esigente forma di carità” (San Paolo VI).
Nel momento in cui abbracciò la scelta di Celestino V e di ritirarsi in vita di sola preghiera, scegliendo per Lui l’ultimo tratto di strada da semplice pellegrino, rintracciai quel senso profondo di abbandono al progetto di Dio e non alla nostra umana volontà che sin dagli anni universitari vissi: non dominare i progetti che ti vengono affidati ma servirli fino quando ne sarai utile al loro fiorire. E così è sempre stato nel mio cammino fino ad oggi: tra i molteplici progetti terreni che mi sono stati affidati ne sono rimasto “al timone” fino a quando ne sentivo la ragione della mia utilità, la quale venuta meno sceglievo di ritirarmi in discernimento per poi dirigermi verso il limbo di terra dove lo Spirito Santo mi chiamava. Inadatto, inadeguato, ultimamente peccatore commosso della mia pochezza ma solo abbracciato a quell’Uomo che ha dato senso a una gioventù ferita da tante lacerazioni dentro e fuori la mia famiglia: dal divorzio dei miei genitori fino alla perdita prematura della mia cara nonna Anna che fu per me madre e guida saggia e amorevole.
Caro Benedetto XVI sei stato maestro e padre, sopratutto negli ultimi nove anni in cui il silenzio è diventato il grido con cui ci hai chiamato ad affidare la nostra speranza non al mondo ma al cielo. Nelle ore che seguirono la tua salita al cielo scrissi a Don Matteo, il Card. Zuppi, che ora resta quell’unico papà che mi accompagna nel vivere spiritualmente la mia piccola missione in terra e le sue parole mi offrirono quel conforto di cui avevo bisogno: “e Papa Benedetto prega per noi”.
Con questa semplice certezza oggi vivo i funerali di questo papà come un passaggio e non come la fine di una straordinaria relazione spirituale che fin qui ha segnato tanto della mia vita: grato perché se sono la persona che oggi vedo allo specchio un poco lo devo a quel “pastore tedesco” che, senza saperlo, ha dato forma al seme dei miei pensieri.